Cose leggere, ma belle.

Ho rivisto con piacere il film animato Monster House del 2006, targato Gil Kenan per la Columbia Pictures. Frutto della necessità di stare nella mia zona di conforto, l’ho riguardato con gioia principalmente per due motivi: il primo perché è girato usando la tecnica della performance capture (che permette di utilizzare ogni singolo movimento espressivo degli attori nelle animazioni dei personaggi), e il secondo perché mi piacciono moltissimo trama e ambientazione. Anche se resta in vetta alla mia classifica The nightmare before Christmas di Tim Burton, Monster House non ha nulla da invidiare. È divertente, accenna all’arrivo di Halloween per giusta causa, la casa dell’anziano Nebbercracker fa il suo effetto, e volendo si percepisce persino un pizzico di romanticismo che io ricordo nelle note malinconiche di Degregori nella canzone La donna cannone.

La mia zona di conforto che può sembrare piuttosto aleatoria, una volta ammessa e dichiarata, ha radici antiche che con il passare degli anni si è rafforzata per non dovere di cronaca. Quando il tuo mondo funziona, che sia dentro o fuori, per molti o pochi, non ha più importanza.

The nightmare before Christmas

Perché devo!

Ringraziare Vittorio, il mio coinquilino qui, in questo angolino che riprenderò in mano presto. Athenina ha avuto la precedenza assoluta su tutto dunque non ho potuto scrivere. Vitto è stato il primissimo a scrivermi via mail, con un garbo meraviglioso, tanto da dirmi “non rispondermi se non te la senti”… Lui ed io amiamo gli animali, lui gattaro io canara (passatemi il termine fantasioso), e siamo entrambi convinti che spesso (molto spesso) siano migliori di certi umani.

E bene Vitto grazie! 🖤

Athenina di riposino

Avviso Anche qui

Mi assenterò per qualche giorno. Il mio cane è in terapia intensiva per via di una patologia grave, ed essendo cucciola è in pericolo di vita.

A presto e dita incrociate.

paola

Quando partecipi a una riunione e…

Non capisci assolutamente nulla di quanto stanno dicendo. Lungi dal voler polemizzare, dico semplicemente quanto è accaduto. Senza entrare nei meriti del dove e perché ho presenziato a una riunione capeggiata da persone che credevo (ingenuamente?) qualificate visto il ruolo che ricoprono, e con sommo stupore, dopo quasi un’ora di parole gettate per aria come coriandoli ho constatato che non stavo capendo niente! Per rassicurarmi del fatto che non fossi rimbambita di colpo (si sa mai, può capitare…) mi sono informata su chi fosse chi e quale fosse la sua area di competenza e con sommo stupore al quadrato, ho appreso che era una delle tante persone messe lì, i cui meriti ed esperienze sono decisamente discutibili, nel senso che: è l’amica di, che è amica di, che è responsabile di, dunque sta lì. “Aaaaaaaah okay”, ho pensato fra la me ingenua e l’altra idiota, abbandonando la riunione per via di un’urgenza insorta al momento (non era vero ma la cosa era insostenibile sotto molti punti di vista.)

A fronte della pagliacciata a cui ho assistito, tornata a casa, ho voluto dare uno sguardo all’organigramma che non soltanto ha il compito di organizzare incontri, ma anche di relazionare con il pubblico. Mi si è aperto un mondo del quale non sospettavo minimamente e, seppur con un pizzico di rammarico nel cuore, ne ho preso atto traendo le mie considerazioni.

Sono oltremodo sconcertata dalla facilità con la quale oggi molte persone si arrogano il diritto di dire che “sanno” quando alla base non c’è uno studio di anni alle spalle. Sono nauseata dal sentire cretinate importate dal web, dopo il clic di un copia e incolla frettoloso, spesso trascritto da anonimi. Sono vomitante all’idea che persino grandi questioni vengono “risolte” con un tutorial fatto dal signor nessuno di turno che, presumo, sia un appassionato di auto-illusionismo. E per concludere, mortificata ogni qualvolta si prende in giro il mio tempo e la mia intelligenza.

Organizzando le letture estive

Lo faccio tutti gli anni. In pratica faccio una selezione di libri, facendo un’accurata ricerca e attendo l’estate. Cerco prettamente fra gialli e thriller, meglio se ambientati in luoghi freddi e innevati, e nel caso non lo siano mi accontento. Al momento ho scelto

L’ultimo conclave di Glenn Cooper, in uscita l’undici Giugno

Omicidio a Chernobyl di Morgan Audic

E poi ancora alcuni, non tutti, i libri di Louise Penny e il mitico Commissario Gamache. Tracce dal passato, I diavoli sono qui, Il regno delle ombre, Un uomo migliore, tutti ambientati a Three Pines in Canada.

Il primo l’ho scelto perché la trama racconta della scomparsa di tutti i cardinali durante un conclave straordinario, il secondo perché reputo originale l’idea dell’autore nel scegliere Chernobyl come luogo nel quale indagare su un efferato omicidio, e gli ultimi perché adoro il Commissario Gamache. Tutti hanno un talento. Quello di Armand Gamache, commissario della Sûreté du Québec, è trovare i criminali. Deciso e sempre misurato, Gamache crede nella legge ma risponde prima di tutto alla propria coscienza. E considera i suoi concittadini gente come lui, da proteggere e rispettare. E talvolta da arrestare. «Il commissario trascorreva le sue giornate immerso negli aspetti piú tragici, spaventosi, violenti e moralmente abietti dell’esistenza. Poi tornava a casa, a Three Pines. Al suo santuario. Sedeva davanti al camino del bistrot insieme ai suoi amici, oppure si rifugiava nell’intimità del suo soggiorno insieme a Reine-Marie. Al sicuro».

Al momento sono questi, farò uno scatto ricordo appena li avrò raccolti tutti.

“Il mio countdown”

Considerata la mia avversione nei confronti dell’estate (apro parentesi per sottolineare che svegliarmi al mattino presto con gli occhi già perforati dalla luce mi innervosisce parecchio) ho deciso che qui, dal mese di giugno, farò partire un countdown (molto di mio gusto) in attesa di giungere almeno a settembre. Non che settembre sia un mese a me caro ma se non altro le giornate inizieranno ad accorciarsi e io inizierò a sentirmi meno peggio. La mia condizione ideale subentrerà nel periodo che va da Halloween fino a febbraio nella speranza che l’inverno faccia “inverno” (scusate il gioco di parole, rende bene l’idea). A dire il vero non sono neanche un’appassionata di conti alla rovescia, ma per alcuni versi mi consola l’idea di depennare dal calendario l’esistenza di giorni afosi, umidicci, assolati, e odiosamente collosi. Non amando neanche l’abbronzatura (tengo particolarmente alla mia tintarella biancastra) sono costretta, fra l’altro, ad impastarmi di creme ad alta protezione, cosa che mi urta ulteriormente perché non sopporto la sensazione di avere la faccia pasticciata e unta. Così come non sopporto le scarpe estive, aperte, come sandali, ciabattine di plastica, hawaiane e compagnia bella e i vestitini leggeri che dopo 5 minuti che li hai indossati sembrano stracci per pulire i pavimenti. Per non parlare dei gelati, l’anguria, i ghiaccioli, le granite, e tutta quella fanfara di cibi estivi che mi fanno una tristezza invereconda. Sostanzialmente dell’estate odio tutto, compreso lo sciame di gente che si ferma sotto casa mia alle 4 di notte a urlare, vomitare (bevono e poi vomitano), ascoltare musica a palla in macchina, e prendersi a botte inquanto ubriachi… Vado in bestia!

Sì farò il mio countdown, giorni da cancellare per poi dimenticare. Di fatto non ricordo mai nulla dell’estate precedente e questo è un bene!

Immagine personale

•Ibrida☆

In questi giorni ho iniziato a fare un lavoro di fino, di quelli che se ti riescono provi una gran bella soddisfazione. In sostanza sto mettendo ordine fra le mie agende (quelle che non mi sono state buttate via dal Conte Duca Principe Padre quando ho lasciato casa). Fra le tante, tantissime cose ritrovate e lette, impattando in un italiano a dir poco imbarazzante (caspita che orrore), ho scovato un breve riepilogo trascritto in una giornata trascorsa a São Paulo precisamente nel barrio Liberdade. Il barrio altro non è che un quartiere (in questo caso enorme) che ospita la più grande comunità nipponica al di fuori del Giappone. Fra lanterne, piccoli negozi, bancarelle, strutture architettoniche, ramen, yakitori, sushi, gommine profumate, stickers e… occhi a mandorla, idiomi mescolati, abiti tradizionali e uno sciame di gente indaffarata a curiosare ovunque, c’ero io. Io con le mie 5 ore di fuso orario addosso, giusto a ricordarmi che vivevo in parte a Torino, che studiavo in parte all’estero, che avevo casa e famiglia in parte a São Paulo, e che avevo la fortuna di essere un’ibrida capace di stare ovunque senza sentirmi “parte di”.

A distanza di anni, rileggendo quanto ho scritto (ricordo lo sforzo nello scrivere e la gioia di essere lì riportando parole piuttosto pasticciate), mi rendo conto che molto del mio vissuto ha deciso per me anche quando non avevo niente da decidere, apparentemente. Ai miei familiari non piaceva addentrarsi nel barrio Liberdade, dicevano che c’era troppa confusione, che i giapponesi non erano accoglienti e che il loro fare da affaristi non era cosa per loro. Sarà ma a me invece piaceva da matti tanto che ci andavo con una nipote di mia zia. Lulù, MariaLuisa de Saboia Campos per la precisione, ragazza facile da persuadere. Era sufficiente comprarle un pastel ripieno di formaggio filante o dei noodles fumanti e il gioco era fatto. Barrio Liberdade diventava casa per quella me che ancora non sapeva quanto un giorno mi avrebbe affascinata la Terra del Sol Levante e la sua cultura. Non ho foto purtroppo, o meglio forse un giorno le riavrò. La seconda moglie di mio padre non mi dà accesso alla cantina di casa, là dove sono certa che la signora delle pulizie di allora abbia imballato quanto rimasto di mio.  Che seccatura quando i ricordi stanno a metà

Immagine EQ

Il mio “dark” nascosto.

Talvolta tocca mettere da parte quel “da parte” che molte persone non solo non capiscono, ma fanno di tutto per trasformarlo in ridicolo. Questo è uno dei motivi per I quali nel mio blog personale evito di postare cose che potrebbero urtare la sensibilità di molti, cosa che qui non accade (e auspico non accada mai) poiché il mio coautore ha la mia stessa visione “oscura” del mondo. Con il termine dark s’intende un genere musicale pop caratterizzato da atmosfere decadenti/ gotiche che esprimono una visione cupa della vita. Questo vero e proprio movimento nasce intorno agli anni ’80 nel costume giovanile che si conforma ad uno stile omonimo anche nella moda prediligendo il nero.

Ai miei tempi andavano di moda i Paninari, moda che non ho mai seguito principalmente per tre motivi: il primo perché ero grassa dunque miravo a nascondere la ciccia al posto di comprimerla dentro jeans aderenti e piumini abbondanti, coloratissimi. Il secondo perché non sopportavo l’atteggiamento di chi vestiva quella moda troppo altezzosa per i miei gusti (le mie compagne di classe ne erano un esempio disgustoso, di fatti non le ho mai sopportate). Il terzo perché avevo già subìto la contaminazione dark vivendo in Inghilterra, frequentando ambienti e persone che erano “molto” dark. La loro libertà nel vestire di nero, truccarsi di nero o viola, di usare come gioielli piercing e catene a cascata mi aveva già intrappolata tanto che abbracciai quello stile per non abbandonarlo più. Tanto per dirne una ad oggi ho un solo maglione colorato, verde, e un solo pantalone grigio. Il resto è ovviamente tutto nero. Ho due piercing, molti tatuaggi, una collezione di teschi quasi da fare invidia, ascolto musica darkwave, mi illumino d’immenso quando arriva Halloween, e sopravvivo alla crudeltà del quotidiano (mi sembra piuttosto evidente lo sia) mettendo da parte “questa parte” di me perché la gente è fondamentalmente stronza e giudica senza sapere. Con l’idea della morte ho un rapporto piuttosto intimo. Ho visto più cadaveri io da bambina che un anatomo-patologo. Così ha voluto il destino per ragioni che non sto qui a dire, dunque ne conservo il ricordo. A buon rendere, dico sempre, di certo non mi spaventa.

Colgo l’occasione per inserire una canzone di una musicista davvero singolare che rappresenta la Verità del mondo in ogni sua strofa. Qualcuno l’ha definita mostruosa, io che conosco la sua storia dico “una talentuosa sopravvissuta al massacro di un dis-umano”. Buon ascolto.

Periodo incasinato

Per correttezza e anche nel rispetto di Vittorio che ha accettato di attivare questo blog in mia compagnia, mi scuso per la lunga assenza. Purtroppo abbiamo la nonna in ospedale da giorni e il periodo che ha preceduto il fattaccio è stato davvero stancante. Ahimè non ho ancora trovato la formula magica che mi permetterebbe di sdoppiarmi al fine di essere maggiormente attendibile… si fa come si può.

Per assurdo, ma assurdo non è secondo il mio punto di vista, mi sento molto più a mio agio qui che nel mio blog personale che fra le altre cose, ho chiuso e riaperto un numero indefinito di volte. È evidente che qualcosa non va, non occorre essere laureati in bloggologia per capirlo. Molte cose di me là non compaiono più, sarà che dopo anni e anni e anni di spiegazioni, giustificazioni, sermoni e sproloqui che mi sono sciroppata credendo fosse costruttivo mi sono mentalmente stancata e quel briciolo di entusiasmo che avevo è andato a farsi benedire. In questo momento poi, ho più che mai bisogno di stare nel mio buio che a differenza di quanto si possa pensare per me è casa protetta. Vallo a spiegare… La verità è che non ho più voglia di dare spiegazioni a nessuno anche perché tutte le volte che l’ho fatto sono stata criticata aspramente e aggettivata con parole troppo pesanti. Inaccettabile sotto tutti i punti di vista!

Sì riprendo da qui, come sento e credo se non altro sto nel posto giusto. L’aria mi è sana, me ne sto rendendo conto.

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